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Torta all'albicocca

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la città

Torta all’albicocca, di Massimo Spinolo

Ecco la versione integrale del racconto vincitore del concorso "Il racconto è servito. Storie di cibo e di vita", organizzato da Fahrenheit 451 – Amici della Biblioteca.

Domani compirò vent’anni quasi senza saperlo.
Uno stato di torpore altalenante mi fa sognare in continuazione ed è quello che attualmente mi riesce meglio.
Girato leggermente sul fianco, in questo momento guardo fuori dalla finestra.
Il panorama è limitato alle fronde di due alberi e al colore del cielo che attualmente  non ha una tonalità ben definita.
E poi, in controluce, la sagoma di Mario. E’ disteso anche lui ma supino e praticamente immobile.
Sempre in controluce, un metro sopra di me e poco fuori dal letto, il mio pranzo.
Il mio pranzo, la mia cena, la colazione, l’aperitivo e la tisana prima di dormire.
Da qui non riesco a leggere bene le sigle ma immagino che in quella sorta di ampolla di vetro che rilascia liquidi goccia a goccia ci sia un frullato trasparente di tutto.
A volte mi pare addirittura di sentire i vari sapori. Ora il gusto potrebbe essere albicocca ma non riesco ad essere preciso.
Guardare le gocce mentre scendono è come avere un orologio a clessidra e ho sempre trovato affascinante visualizzare il tempo che passa.
Mi ricordo un’inchiesta televisiva sui giovani ventenni, con il giornalista che poneva la stessa domanda a tanti intervistati. “Cosa significa per te avere vent’anni?”
Se dovessi esprimermi adesso, forse risponderei “gusto di albicocca”.
Mario è sempre immobile ma ogni tanto ha dei sussulti. I muscoli del braccio sinistro si contraggono e la testa si reclina all’indietro, come se arrivasse all’improvviso una scarica elettrica.
Anche lui ha il suo menù in boccetta ma non credo se ne sia mai accorto, almeno non da quando sono qui.
Negli ultimi giorni trascorro molto tempo girato sul fianco e anche oggi sta passando così.  E poi lo spicchio di cielo alberato oltre la finestra mi consente, anche se per pochi attimi, di dimenticare dove mi trovo.
Sento gli infermieri andare e venire ma percepisco appena delle sagome, senza che nessuna di esse entri chiaramente nel mio campo visivo.
Ogni tanto s’interrompe bruscamente il colpo d’occhio sulla finestra e una di queste sagome si avvicina a pochi centimetri dal mio viso, anche se dalla mia prospettiva riesco a mala pena a percepire se si tratta di un uomo o di una donna. Di solito mi aiutano gli odori e la rotondità di alcune forme.
Ho imparato a riconoscere le tre sagome che mi si avvicinano con maggior frequenza per queste operazioni e ho inventato dei nomi per loro. Poco fa è passato “Vaniglia” per controllare il livello della flebo. Stamattina mi ha cambiato le lenzuola “Caffè” e forse più tardi passerà anche “Tartufo”.
Caffè è l’unica donna del terzetto ma è anche la mia preferita. Non mi sembra giovanissima e quell’aroma che emana mi ricorda le signore che frequentano i bar con le amiche, nelle ore pomeridiane.
Quando mi sposta per sfilare le lenzuola riesce a farlo con una delicatezza straordinaria e sono ogni giorno dispiaciuto di non poter collaborare, agevolandole il compito.
Oggi provo una grande rabbia per essere qui.
Mi sento imprigionato in un corpo che non c’è e in una mente incapace di controllarlo.
Solo i sogni, durante i molti momenti di assopimento, mi consentono di essere davvero me stesso.
Ho imparato ad amarli anche quando terrorizzano perché mi sento comunque protagonista e soprattutto vivo.
Grazie all’inconsapevole complicità di Vaniglia ho realizzato che domani sarà il mio compleanno. Compilando qualcosa nella mia cartella clinica si è accorto della data e ha chiamato Caffè per esserne certo. La presenza di due persone così vicine al mio letto ha tolto quasi completamente la luce della finestra. Riprendendomi da uno dei miei continui torpori ho addirittura pensato fosse notte. Quel buio è comunque durato poco perché proprio in quel momento Mario ha avuto uno dei suoi rari sussulti, richiamando l’attenzione dei due.
Per la verità è stato qualcosa di più di un sussulto. Mario ora si trova girato su un fianco anche lui. Vista la frenesia di Vaniglia e Caffè l’evento ha quasi del prodigioso. Mario in questo momento non sembra vegetare supino ma dormire beatamente su un fianco. Mai successo a quanto pare.
Altri infermieri sono accorsi e Tartufo armeggia frenetico con sondini e sacche di plasma.
Mario ha gli occhi semichiusi e non credo si renda conto di essere quasi sveglio. A volte l’avevo invidiato per la sua totale incoscienza. Ora però dorme e lo sento presente.
Tutta quella concitazione mi ha affaticato il cervello e sto per sprofondare nuovamente in uno dei soliti torpori, con o senza sogni. Anche il gusto di albicocca si è leggermente modificato; ora è più simile alle ciliegie sotto spirito.
Davvero non saprei dire quanto durano queste sonnolenze. A giudicare dai sogni che vanno in scena ora, quella in corso sta durando parecchio. Vorrei aprire gli occhi ma la mente non è così forte da imporsi sul corpo e il corpo non risponde. La fatica di volerlo non premia i miei sforzi e intorno a me tutto è ancora tra il sonno e il sogno.
Avverto la presenza di una mano che stringe la mia e di qualcuno che mi chiama per nome.
Mi pare di tornare lentamente in me ma potrei anche sbagliarmi. Mi sento come un estraneo che viene ospitato in una casa non sua. Eppure l’odore del caffè mi sembra familiare insieme al gusto di albicocca.
I miei occhi sono quasi aperti e lentamente si muovono. Ma quanto tempo è passato?
Caffè mi gira sul fianco e sistema il lenzuolo sotto il mio corpo. Sento per la prima volta le sue mani che mi toccano. Vedo il cielo e le fronde degli alberi.
Vedo anche il letto di Mario. E’ vuoto.
Guardo per la prima volta negli occhi Caffè e lei mi sorride, come fanno le signore nei bar di pomeriggio.
Guardo la boccetta con il mio frullato di tutto e, oltre alle solite sigle, c’è disegnata a pennarello una candelina di compleanno. La fisso con un misto di gioia e stupore. Il giorno del mio compleanno ha anche una candelina disegnata in tratto rosso, sopra la torta all’albicocca.
La osservo ancora e poi torno a fissare Caffè che continua a sorridermi. Si è accorta della mia gioia per quel regalo inaspettato. Ma regalo di chi?
Mi indica il letto vuoto e con le labbra scandisce il nome di Mario. Poi con la mano mima il gesto di chi disegna sulla flebo, indicando nuovamente il letto vuoto.
Anche la mia mano ora riesce a stringere la sua e in un attimo tutti sono intorno a me, armeggiando con flebo e sondini, come avevo visto fare quando Mario aveva sussultato.
Cosa si prova ad avere vent’anni? Riesco a malapena a muovere gli occhi ma non credo di essere mai stato così felice. Devo ricordarmi di raccontarlo al giornalista dell’inchiesta.

 

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